Che gran gruppo sono stati i Medeski Martin & Wood, soprattutto negli anni novanta quando esordirono con “Notes From The Underground”, hanno dato grandi soddisfazioni creando una delle più belle e avvincenti discografie della loro generazione. E per discografia si intendono anche i (moltissimi) side project, di cui i Wood Brothers è uno dei tanti ma, altrettanto, è fra i più avvincenti. Tutto nasce una quindicina di anni fa con Chris Wood (basso/contrabbasso) che non contento dei già tantissimi impegni con MM&W si ritrova con il fratello cantautore Oliver e con il polistrumentista Jano Rix – detto-fatto, nacquero i Fratelli Wood. Che 3 lustri dopo hanno pubblicato la bellezza di 11 lavori e ora ci presentano il nuovo album “Kingdom in my mind”.
I fratelli provengono da Boulder, città del Colorado, nella quale hanno condiviso le loro singole esperienze per dare vita ad un suono che si rivolge alla tradizione per scompigliarla in tante direzioni in modo da riassembrarla, quasi casualmente, in forme nuove. Sembrava che tutto fosse nato giusto per divertirsi un po’, niente più che una scampagnata nella musica roots ma ad ampio spettro. Invece sono diventati una vera sensazione, capaci di riempire spazi che i MM&W si sognavano di fare. L’estate scorsa, per esempio, si sono esibiti di fronte ad un grande pubblico nel “sacro” anfiteatro di Red Rocks vicino a Denver. Tutto ciò è facilmente comprensibile ascoltando i loro dischi, una bella boccata d’aria fresca, tipo spedizioni nella più profonda musica americana fra bluegrass, jazz, country, folk e blues ma senza la benché minima ombra di scolastica agiografia.
Tornando alla nuova fatica, si tratta di un lavoro registrato su una serie di sessioni a ruota libera e improvvisate che racconta di circostanze, mortalità e natura umana. È per questo che risulta quello più fresco ed intrigante tra i tanti già dati alle stampe.
Dal punto di vista lirico si narra della forza di accettare ciò che è al di fuori del nostro controllo, in una serie di episodi che si connotano per una bellezza presentata in salsa agrodolce. Il dubbio è alla base di tutto, del dolore e della tristezza con vivaci studi sui personaggi e un autoesame incrollabile.
Mentre i testi scavano in profondità, gli arrangiamenti sono vivaci e di trasporto, attingendo da un ampio spettro sonoro e stilistico. Questo tipo di approccio non è funzionale per tutti, ma per loro, musicisti sopraffini, che non temono di rischiare, è stato di grande beneficio. Lo potete constatare dalla brillantezza dei brani presenti in questa raccolta, che sanno muoversi con sapienza tra stili diversi.
Abbiamo il rock blues che richiama i Black Crowes (“Little bit broken”), il country svenevole (“The one i love”), il groove irresistibile di basso e tastiere (“Alabaster”) e la ballata strappalacrime (“Satisfied”).
Che dire il trio è eccezionale, mentre Oliver dimostra ancora d’essere un serio autore di canzoni che non tradiscono e dove l’eccezionale dinamismo strumentale che Chris Wood e Jano Rix fanno esplodere letteralmente i brani, siamo riconciliati con la migliore musica americana!!!


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