Sono due i momenti che mi legano a Van Morrison. 11 giugno 1983, Teatro Tenda Di Lampugano, la sua prima volta in Italia a supporto del disco “Inarticulate speech of the heart”.
Concerto magnifico di grande impatto emotivo e di lunga durata, in una parola eccezionale.
Estate 2001, Idroscalo, concerto con band nuova e discretamente contratta, durata minima garantita, delusione pazzesca. Da quel momento mi ripromisi di non voler avere più nulla da spartire con Van the Man, “The Belfast Cowboy”.
Il tutto viene rivisto alla luce della vendita di una stampa giapponese, poche settimane fa, di “Veedon Fleece”, un album a cui sono sempre stato affezionato e che al momento della sua uscita, nel lontano 1974, venne bistrattato dalla critica se non, addirittura, stroncato.
In realtà si tratta di un disco spartiacque tra il Van Morrison americano e quello del ritorno a casa nella natia e verde Irlanda.
Lo considero un capolavoro minore nella discografia dello scontroso musicista. Un’opera d’autore per nulla commerciale, anzi elitaria ed ostica che idealmente potrebbe essere considerata la seconda parte di una futura trilogia ideale che inizia con “Astral weeks” e si conclude nel 1980 con “Common one”.
Il periodo è colmo di situazioni negative per il nostro, la moglie Janet ha appena chiesto il divorzio e dopo l’uscita dell’album in questione ci sarà un triennio di riflessione.
Il lavoro è registrato fra la California e New York, ma l’anima e il cuore sono già al di la dell’oceano.
Lo si percepisce nelle atmosfere dei brani e tra le righe dei pezzi presenti. Un flauto che spezza il cuore, degli archi che feriscono l’anima. La malinconia ammanta le composizioni, i toni sono sfumati, la strumentazione è scarna, ma è presente una grande intensità.
Il brano che apre il disco “Fair Play” è indimenticabile, un basso in primo piano, un piano che trilla senza disturbare. Entra di diritto a far parte delle grandi introduzioni musicali dei suoi lavori.
Fantastici e toccanti i gorgheggi che impreziosiscono, in chiusura, la cupa “Cul de sac”.
Di intensità devastante il jazz-blues di “Streets Of Arklow”!!!
“You don’t pull no punches” è una “Madame George” con un carico d’ansia che toglie il respiro. Non ci sono raffronti precedenti con l’energia vocale ricca di tinteggiature soul che dipingono “Who was that masked man”.
Un disco tessuto con una stoffa diversa dal solito che vi consiglio di ascoltare all’imbrunire di una uggiosa giornata autunnale!!!
No responses yet