Il 28 ottobre 1977 uscì “Never Mind the Bollocks” dei Sex Pistols, il 20 ottobre 1980 “Boy” degli U2.
Si direbbero agli antipodi, così vicini nel tempo, così lontani nei modi.
Gli U2 videro i Pistols in concerto e già coltivavano l’amicizia e la condivisione d’arte con i Virgin Prunes. Nei primi lavori degli U2, soprattutto nelle rarità, B-sides e live solo parzialmente editi di quel periodo, si trova il punto d’unione tra i fattori di quel binomio così dispari, Sex Pistols Vs U2.
Non una sola nota in comune, solo l’attitudine al Do It Yourself, messaggio principe e forse unico dei Pistols, che Bono, Edge, Adam e Larry raccolgono in modo discreto ma efficace. Suonano come sanno, non sono scolarizzati musicalmente se non in maniera superficiale, ed è per questo che non assomigliano a nessuno; sono nuovi e classici rispetto al panorama underground britannico dell’epoca.
“Boy”, “October”, “War”: ovvero la sofferenza e la rabbia dell’adolescenza che esplode nei suoi colori più vividi. Ciascun U2 aveva da esprimere l’urgenza della medesima fame di vita. Poi si perfezionano, iniziano a praticare altri sentieri musicali.
Così arriva, con la produzione di Eno/Lanois, “The Unforgettable Fire”, una vera rivoluzione reazionaria. Tutti i semi nati in quest’album erano già nelle sfumature dei tre lavori precedenti. Si lasciano alle spalle l’esagitazione giovanile e ora le canzoni che nascono in Bono hanno una vena melodica più elaborata. Si, perché Bono è uno di quelli che al mattino si sveglia e ha una musica in testa, ma siccome è un pessimo chitarrista affida ai compagni la melodia che ha dentro, ed ascoltandolo cantillare costruiscono il brano. Questa è l’importanza di una band che cresce in un amalgama che nel tempo si rafforza sempre più. Cresce anche il modo di comunicare del gruppo, perché a ben guardare, o meglio, ascoltare, dal primo all’ultimo album la gamma di emozioni trasmesse dagli U2 è più o meno sempre la stessa; ad ogni periodo corrisponde un linguaggio musicale che cambia a seconda del genere che in quel momento li affascina in misura maggiore rispetto agli altri.
Struggente come una preghiera e dedicata alla memoria di Martin Luther King, “MLK”, posta in epilogo a “The Unforgettable Fire”, senza dubbio preannuncia (semmai ce ne fosse bisogno, visto che molte canzoni di quest’album fanno riferimento a fatti o persone degli USA) l’avvento del periodo americano.
“The Joshua Tree” e “Rattle and Hum” sono intrisi fino all’osso dello spirito d’America, dal gospel a Dylan a B.B. King.
Poderoso ritorno in Europa, con “Achtung Baby”, “Zooropa” e “Pop”, è il periodo dell’intenso rapporto artistico con Wim Wenders, dell’album con Eno “Original Soundtracks 1”, uscito come Passengers (per intenderci, dove c’è Miss Sarajevo con Big Luciano), sono gli anni del grande impegno sociale di Bono, quando decide di essere il megafono di tutti i poveri del mondo costringendo i potenti ad ascoltarlo, anche se per cinque minuti, se non altro per evitare i possibili e pericolosi crolli degli indici di gradimento presso il loro elettorato. Si è divertito a fare la spina nel fianco di tutti i “bush” del mondo e ha passato davvero parte del suo tempo con i negletti del pianeta, in modo discreto, senza diventare il megafono di se stesso.
“Achtung baby” è straripante di poesia, “Zooropa” è destabilizzante, “Pop” inquietantemente bello. È la triade del trionfo dell’effettistica e dell’elettronica, quella degli U2 che non sembrano più gli U2, a livello di colori e suoni, beninteso. Perché bisogna cambiare ciò che è più evidente perché tutto resti come prima: Flood, che già lavorò in “The Joshua Tree”, è onnipresente e di volta in volta troviamo, in varie vesti, Lanois, Eno, Lillywhite, Howie-B, Gavin Friday, e l’eterno manager del gruppo Paul McGuinness. Si, perché gli U2 hanno sempre conservato l’aspetto di una grande famiglia.
La dimensione della ricerca a livello di suoni esce ridotta da “All That You Can’t Leave Behind”, album piuttosto tradizionale da ogni punto di vista. È noioso e privo di idee, quello che si dice un disco di mestiere.
“How to dismantle an atomic bomb” è anche peggio.
“No line on the horizon” è un gradino sopra, se non altro per una rilettura ben fatta di alcuni topoi stilistici degli U2 anni ‘80 e ‘90. Una sorta di summa dei peregrinare nelle giungle sonore del gruppo, con tanto di manifesto programmatico di Bono per se stesso:
“I was born
I was born to sing for you
I didn’t have a choice but to lift you up
And sing whatever song you wanted me to
I give you back my voice
From the womb my first cry, it was a joyful noise…”
Si, la noia affiora qua e là, ma si sentono le pulsazioni dei pezzi di cuore che battono ancora, in certi passaggi…
Lunga vita agli U2!
Ma ne siamo così sicuri?
Auspichiamo un incontro con un terrorista del suono, così d’un colpo potremmo avere di nuovo fuochi d’artificio!
DISCOGRAFIA ESSENZIALE
1980 – Boy
1981 – October
1983– War
1983 – Live from Red Rocks: Under a Blood Red Sky
1984 – The Unforgettable Fire
1987 – The Joushua Tree
1988 – Rattle and Hum
1991 – Achtung Baby
1993 – Zooropa
1995 – Original Soundtracks 1 (con Brian Eno come “Passengers”)
1997 – Pop
1998 – The Best of 1980-1990
2000 – All That You Can’t Leave Behind
2002 – The Best of 1990-2000
2004 – How To Dismantle An Atomic Bomb
2006 – U218 Singles
2009 – No Line on the Horizon
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