Ho già avuto modo di dirlo, per me i Tuxedomoon sono il miglior gruppo degli anni ‘80. Un sound inconfondibile, clamorosamente mitteleuropeo, uno stile che ha fatto scuola, oscillante tra geometrie new wave e dilatazioni cameristiche, tra pop traviato e rigore classico, tra cabaret e inquietudine, tra la Berlino di Weimar e la New York del delirio urbano. Stilemi precostituiti certo, ma che hanno lasciato una musica che è stata ricercata senza venir mai meno al suo carattere e al suo linguaggio rock, colta senza mai essere fuori dal tempo, anzi, paradigma della cultura rock del tempo. A chi per distrazione o per età non li conoscesse c’è solo l’ imbarazzo della scelta tra “Half mute”,”Desire”, “Suite en sous sol”, “Holy wars”, “Ghosts sonata”. Dopo il camerismo dell’ultima produzione all’inizio dei 90, un lungo silenzio, poi due anni fa uno splendido doppio dal vivo, in formazione a tre senza ritmica, registrato in Russia. Ed ecco “Cabin in The Sky”. Per me il miglior gruppo degli anni 80 e tra i migliori degli ultimi 25 anni. Ma allora perché non volevo comprarlo? Premonizione? Istinto ? Poi le stimolazioni di un amico, alcune buone recensioni in rete, il nome mi rigira in testa…..il cd è pure in digipack……ed ecco che procedo all’ acquisto. Lo ascolto 2 volte , poi 3, 4, 5 volte. Bisogna fidarsi dell’istinto, ma andiamo per ordine. Formazione originale con Steven Brown, Blaine Reininger e Peter Principle con in più due vecchie conoscenze come Luc Van Lieshout e Bruce Geduldig, collaborazioni, tra gli altri, di Tarwater e John Mc Intire. 13 brani.
“A home away” parte con un giro di basso fin troppo tipico del gruppo, poi la voce diaccia cadenzata tra il volteggiare del sax. Sembra un pezzo di “You”, i Tuxedo sono tornati a casa. “Baron Brown” è un pezzo sulla stessa lunghezza d’onda ma più articolato con belle aperture di clarinetto e violino, piuttosto orecchiabile per quanto questo termine possa applicarsi ai gruppo. Sembrano aver abbandonato la musica da camera dell’ ultimo periodo, al momento discreti pezzi ma latita un po’ l’emozione. Colpo di coda con “Annuncialto”, 5 minuti strumentali con un pianoforte liquido alla Harold Budd che galleggia indolente in uno stagno di rumori elettronici, ancorato al suolo da un ineluttabile giro di basso con malinconiche aperture di clarinetto e di fisarmonica (probabilmente una tastiera settata). Non facciamo in tempo a dire “bello” che parte “diario di un egoista”, base campionata e melodia inconsistente in un brano di una bruttezza imbarazzante e non solo per il ridicolo cantato di Reininger. Proseguiamo con ” La più bella” che gode di una reprise successiva. Volutamente vi evito la descrizione. Forse è l’età e mi sto rincoglionendo ma l’ho trovato, per qualche strana traiettoria emotiva, assolutamente toccante. Nello strumentale “Cagli five-o” si prova la strada di uno space-jazz atmosferico senza infamia ma anche poco memorabile. Nella successiva “Here ‘till x-mas” collabora tale DJ Hell e ciò prevedibilmente annuncia un brano inutile cantato in tono da cabaret e distrutto dalla solita ritmica sintetica da DJ in crisi da personalità ipertrofica. Ai miei tempi i Dj li mettevano i dischi, mica li facevano, poi qualcuno ha detto che sono artisti e loro lo hanno creduto. Ma realmente i Tuxedo avevano bisogno di collaborazioni di tal fatta? Che sia un segno di crisi? Poi “Chinese Mike”, strumentale in stile Nu-jazz con un bel finale con inedita chitarra acustica che accompagna un meditabondo sax, ci risolleva, come del resto ” La più bella reprise” che viene subito dopo. “The Island” è praticamente un’ introduzione ambientale a “Misty Blue”, con Steven Brown che canta quasi da crooner in un brano magari non intensissimo ma molto piacevole nel suo disimpegno. Sul finale “Luther Blisset” con John Mc intire al Mix (sigh), è da decidere se è peggio il brano o era peggio il centravanti del Milan ( si, lo so, c’è anche il libro ecc…, ma trovo più affascinante sia dedicato a quel simpatico bidone), un pasticcio danzereccio indegno, appena appena salvato da ricercati inserti strumentali. Chiude una ripresa di “Annuncialto”.
Che dire. Alti e bassi. Indubbiamente riuscito il tentativo di fare un disco in cui risaltassero elementi nuovi nel contesto formale tipico del gruppo e non mancano pezzi anche riusciti, inoltre il sound appare tutt’altro che sorpassato, in tal senso i Tuxedomoon sono da considerare un gruppo invecchiato bene. Ma noi siamo irriducibili e queste considerazioni le lasciamo ai fini strateghi e agli esegeti, non potendo fare a meno di rilevare alcuni brani scadenti e altri salvati dal mestiere più che dall’ispirazione. In mezzo pochi acuti. Alti e bassi appunto. Molti bassi. Troppi. Troppi per un disco del miglior gruppo degli anni ‘80.
voto 5.5
Doktor Kiusi
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