L’etichetta è di quelle giuste, la ex indie di lusso Jagjaguwar, la voce stupendamente magnetica e rauca che danno al nostro un’età maggiore di quella che ha in realtà, ventitré anni. Trevor Sensor è un singer-songwriter proveniente da Sterling, Illinois, poco distante da Chicago. I testi delle sue canzoni sono sicuramente di livello superiore, ha infatti studiato letteratura e filosofia al College in Iowa, e son ispirati da Proust, Kierkegaard ed autori della Beat Generation come W. S. Borroughs e J. Kerouac.
Cresciuto in una piccola cittadina tra industrie abbandonate e piene di bar della working class che adornano un paesaggio da città fantasma, questo suo album narra un mondo fatto di eterni sconfitti a cui non verrà mai concessa l’opportunità di redimersi.
L’etichetta migliore per qualificare la musica di Sensor è classic rock anche se è percepibile una carica fortissima di freschezza che lo leva dal puro e semplice revivalismo. La title track può ricordare il Van Morrison giovane, periodo ‘Veedon Fleece’, e nel testo tira in ballo Andy Warhol in riferimento ai famosi quindici minuti di celebrità. In alcuni casi siamo al limite del plagio dylaniano(lascio a voi indovinare quali brani). L’apertura ‘High Beams’ è un pezzo stupendo, con quella voce rugginosa che ci accompagna per tutta la sua durata. Splendida pure ‘Stolen Boots’, ballata fragile dall’andamento sonnecchioso perfetta per una mattina d’autunno. Il disco è prodotto negli studi di Steve Albini a Chicago, gli Electrical Audio Studio, da Jonathan Rado dei Foxygen.
Per concludere un’opera gustosa che soddisferà sicuramente parecchi ascoltatori.

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