L’ultima del compositore canadese Tim Hecker, “No Highs”.
“No Highs” funge da faro di disagio contro il diluvio di ambienti aziendali falsi positivi attualmente in voga.
Che sia preso come avvertimento o promessa, il disco offre: questa è musica di austerità e ambiguità, purgatorio e mal di mare. Un frastagliato anti-rilassante per la nostra epoca medicata, grezzo e indefinito.
La programmazione degli impulsi in codice Morse sfarfalla come segnali di soccorso, mentre una tempesta di corde, rumore e bassi incombe in lontananza. L’elettronica elaborata rabbrividisce e trema contro gli assemblaggi che cambiano il tono di tensione scoppiettante, corni mantrici (incluso lo squisito sax modale di Colin Stetson) e tastiere della cattedrale.
In tutto, i pezzi accumulano ed evitano il dramma, più in sintonia con la risacca che con il crescendo. Hecker menziona la ‘negazione’ come una sorta di musa ispiratrice: il senso di tumulto senza magniloquenza, estasi legate, una fuga dall’evasione. Il suo è un antagonismo sia brusco che seducente, privo di risoluzione, che attira l’ascoltatore sempre più in profondità nelle sue alchimie in scala di grigi di inquietudine magistrale.
È un lavoro di enorme suggestione evocativa, iniziando dalla copertina che è una fotografia di una città capovolta, avvolta in una nebbia che non ci permette di distinguere alcun particolare.
Il nostro autore è ormai noto per dare alle stampe colonne sonore, ma quest’attitudine trova riscontro pure nei suoi lavori in studio. Un musicista di rara intelligenza che riesce a mediare un’austera ambient music con bleep ipnotici, precisi e vibranti. Un autentico maestro!!!
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