Sonny Landreth nasce nel 1951 in Mississippi, a Canton, e si trasferisce durante la seconda elementare a Jackson, sempre in Mississippi, per poi trasferirsi definitivamente a La Fayette, Louisiana, dove trova un ambiente di grande ispirazione musicale. Il suo primo strumento fu la tromba che suonò fino all’età di dieci anni, ma poi abbandonò e dall’adolescenza si concentrò esclusivamente sulla chitarra. Le sue fonti di ispirazione furono principalmente Scotty Moore e Chet Atkins. La sua tecnica sullo strumento è prodigiosa, ottima con la tecnica convenzionale ma è alla slide che si contraddistingue da tutti. Usa lo slide sul dito mignolo in modo da avere libere le altre tre dita con cui suona accordi. Con la mano destra può usare qualsiasi tecnica, dal fingerpicking, con e senza plettro, al tapping, allo slap.
Alcuni ascoltatori ritengono che non abbia mai fatto bei dischi né scritto grandi pezzi, che suoni troppe note e non lasci respirare le canzoni; altri sostengono il contrario, ovvero che di dischi di alto livello ne abbia fatti veramente tanti e che sia un grande chitarrista. Io mi colloco in una posizione mediana. Ha prodotto alcuni bei dischi (‘South Of I-10’ del 1995 e ‘Levee Town’ del 2000) ma a livello di composizione ritengo che non sia al top, non gli riesce facile.
Lo vidi dal vivo due volte, la prima come chitarrista durante la tournée di ‘Bring The Family’ con John Hiatt e mi fece una grande impressione, ma le composizioni erano di John, e poi parliamo di uno dei capolavori assoluti della musica rock. La seconda volta fu a Chiari, in provincia di Brescia, in un piccolo cinema/teatro e ne rimasi profondamente deluso: suono fortemente elettrico, sparava note su note senza dare respiro alle canzoni ma aggredendo le orecchie del pubblico presente.
Oggi il nostro esce con un doppio live che si può ritenere la summa del suo percorso artistico. Un disco doppio, metà acustico metà elettrico, registrato in un teatro vicino a casa sua. Alla strumentazione base aggiunge una chitarra acustica e soprattutto un accordeon. La scelta si rivela vincente, possiamo assistere ad un blend di Southern Rock, Zydeco, Swamp Rock e Blues, per un sound più ricco e pieno ma mai invadente. Se si chiudono gli occhi sembra di essere a pochi metri dal palco, gustando pietanze creole accompagnate da ettolitri di New Orleans Buck. I pezzi suonati sono principalmente a firma autografa e si snodano attraverso la sua intera carriera, con un paio di vecchi blues, ‘Key To The Highway’ e ‘Walking Blues’ di Robert Johnson. Come sempre il suo approccio alla slide è esemplare, ed è sia altamente originale che debitore nei confronti dei suoi idoli del Blues. Ben riuscito è il passaggio da arrangiamenti elettrici ad acustici in pezzi come ‘Creole Angel’ e ‘Bound For The Blues’; fantastica la versione, sempre acustica di ‘Zydecoldsmobile’, con un interplay tra chitarra e fisarmonica da lasciare a bocca aperta. Di alto livello, per quanto riguarda il lato elettrico, è ‘Back To The Bayou Tech’, dal suo album del 1992 ‘Outward Bound’, in cui possiamo ascoltare l’intero spettro della sua tecnica che gli permette di creare il suono da studio della chitarra in una registrazione dal vivo. Un album che potrebbe mettere d’accordo sia i fans che i denigratori.

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