Non so in che posizione mettiate Steve Albini nel vostro immaginario musicale. Io lo pongo molto in alto come figura dall’incorruttibile visione artistica, più come produttore che come musicista. Molti sono cresciuti ascoltando dischi divenuti imprescindibili e caratterizzati da un suono abrasivo, violento ed urgente, marchio di fabbrica di Steve come sound engineer, che è il termine che lui preferisce per definire la propria attività.
Milita in diverse formazioni fin dall’adolescenza, fonda band di culto quali Big Black, Rapeman e Shellac, ma è la sua attività come produttore che gli permette di lasciare una traccia indelebile nella storia della musica indipendente. “In Utero” dei Nirvana, “Surfer Rosa” dei Pixies, “Rid of Me” di PJ Harvey, “Pod” dei Breeders, “Goat” dei Jesus Lizard, “Times of Grace” dei Neurosis, “Ocean Songs” dei Dirty Three sono solo una manciata di titoli indimenticabili su cui il nostro ha posto la sua impronta.
Con colpevole ritardo vi parlo solo ora dell’uscita di “The end of the radio” degli Shellac che riportano le leggendarie live sessions che il gruppo tenne in due occasioni ai celebri Maida Vale Studios di proprietà della BBC. Fu l’occasione dell’incontro di due figure che hanno fatto la storia della musica alternativa: John Peel e, naturalmente, Steve Albini.
L’album contiene dodici tracce divise in due cd, registrate dal vivo con la band nel 1994 e nel 2004. La prima apparizione si tenne venticinque anni fa con “At action park” fresco di stampa e contiene “Spoke”, “Canada”, “Crow” e “Disgrace”. Appena undici minuti ma di abrasione totale, quattro tracce delle quali solo “Crow” – capolavoro minimalista in tensione costante – proviene dall’esordio in studio, mentre le altre avrebbero dovuto attendere l’inclusione nei successivi “Terraform” (1998) e “Excellent Italian Greyhound” (2007). “Canada” e “Disgrace” sembrano lo stesso pezzo, la seconda il reprise accelerato della prima. “Spoke” una cavalcata che riporta a stilemi post-punk a loro precedenti. Sin da allora l’incisione è circolata in forma di bootleg, perciò questa ne è a tutti gli effetti la prima stampa ufficiale.
Quindici anni fa, invece, la seconda session dal vivo trasmessa pochi mesi dopo la scomparsa di Peel. Un vero e proprio concerto di cinquanta minuti con un ristretto pubblico in sala. Suonarono otto pezzi per cinquanta minuti di durata, erano brani allora inediti. Interessante ascoltare la canzone omonima in forma di tre accordi ossessivi al basso, silenzi e ritmi spezzati alla batteria, e una voce che ripete “Can you hear me now?”. Questo e altri due sono anticipi dal venturo “Excellent Italian Greyhound”.
È il momento di infliggerci il colpo definitivo dell’esibizione, con una versione estesa del singolo “Billiard Player Song” (sul datato 7 pollici intitolato “The Rude Gesture (A Pictorial History)” e due classiconi dal miliare debutto: “Dog And Pony Show” e “Il Porno Star”. Suoni asciutti ed affilati a cui non è facile attribuire una data tanto suonano ancora attuali.
In una parola, essenziale!!!


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