ROY MONTGOMERY: “Island Of Lost Souls” cover albumRoy Montgomery festeggia i 40 anni di attività con una quadrilogia di lavori annunciati nel 2020. Il primo “Island of Lost Souls”, pubblicato il 5 febbraio, coerentemente con il precedente “Suffuse” (che era un disco di collaborazioni) e soprattutto con “R M H Q: Headquarters” (di cui la nuova serie rappresenta un ideale seguito), viaggia tra dream, droning, minimalismo e wave, onde oniriche e pittura oceanica. Non comprendiamo il motivo per cui Roy non sia più apprezzato; ha lavorato instancabilmente per quarant’anni ad oggi, e mentre il suo particolare marchio di squisito pop da sogno è ancora consegnato all’underground, i suoi imitatori sono troppo numerosi per essere menzionati.

Particolarità delle quattro lunghe tracce del disco – e non è certo una novità nella sua discografia – è la dedica: ognuna di loro è stata composta avendo uno specifico musicista in mente. L’ultima ad esempio – “The Electric Children of Hildegard von Bingen”, 22 minuti di durata – è stata pensata per Florian Fricke, deus ex machina dei Popol Vuh scomparso nel 2001. Della traccia esiste inoltre un ‘Motorik Mix’ quando l’originale è decisamente improntato su un estatico minimalismo, un folk ancestrale e immersivo pennellato spremendo diversi tubetti d’acrilico, senza pentimenti, strato su strato.

Altro omaggio doveroso e importante per Montgomery è quello a Peter Principle, indimenticabile bassista dei Tuxedomoon scomparso nel 2017. “Unhalfmuted”, che già dal titolo fa chiaro riferimento al debutto della band, “Half Mute”, è una wave meditativa e catartica che, oltre che dei giri di chitarra, si avvale degli arabeschi free form di un chiesastico organetto. L’introduttiva “Cowboy Mouth (For Sam Shepard)” suona come un’effervescente rivisitazione shoegaze di “Oxygene” di Jean-Michel Jarre, ma considerando il drammaturgo e attore americano recentemente scomparso, potresti quasi sentirlo insieme a Terrence Malick “Days of Heaven”, canticchiando dolcemente sull’infinito tramonto.

Ogni pezzo è costruito da strati trascendenti di chitarra riverberante, densa di armonia e danzante con svolazzi. Se My Bloody Valentine ha mostrato un estremo, questo ne suggerisce un altro, una quiete schiacciante in cui l’estremità si trova nel significato, nella determinazione e nella disciplina. Questo non è mai più evidente nell’epopea più vicina dell’album, “The Electric Children of Hildegard von Bingen (For Florian Fricke)”, una traccia che onora il fondatore di Popol Vuh e padrino della musica kosmische, influenzata dalla suora del II secolo che ha ispirato centinaia di anni di musica, scienza e teologia. Musicalmente, Montgomery indossa il suo apprezzamento per Fricke qui, evocando bei ricordi di “Hosianna Mantra” con strimpellate ritmiche e tintinnanti che turbinano in un abisso beato e trascendente.

Questo è un angolo cosmico dell’universo musicale che viene spesso visitato ma raramente rispettato o esplorato con successo. Per qualche ragione, il crossover con la new age attrae elementi canaglia, ma sentire Montgomery nella sua zona di comfort ci ricorda solo quanto sia supremo il crossover pop / kosmische da sogno se affrontato con sincerità e cautela. “Soundcheck” è dedicata al rimpianto Adrian Borland, mai dimenticato leader e frontman dei Sound (quest’anno ricorrono i quarant’anni dalla pubblicazione di “From the Lions Mouth”, loro indiscusso capolavoro).

Sono quattro piccole gemme per un disco da non farsi sfuggire!!!


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