OLD TIME RELIJUN- “See Know And Know”Gli Old Time Relijun sono stati un tassello importante di quella Olympia legata a doppia mandata alla K Records di Calvin Johnson. Un manipolo di artisti che oltre a praticare la creatività in modo libero e originale, condividevano una visione etica, indipendente e impegnata capace di dare vita a una scena insofferente ai dettami mainstream, per quanto geograficamente a un tiro di schioppo dall’imperversare del sensazionalismo grunge. Una band originale abile nel mischiare la post-modernità di Tom Waits con la visionarietà di Captain Beefheart in un formato indie-rock low-fi: garage storto, blues abrasivo e sfasature now wave distillati in sfoghi orgiastici impreziositi dalla vocalità trasformista di Arrington De Dionyso. Non sempre hanno centrato il bersaglio, ma l’onestà di fondo è sempre stato tratto distintivo. Dopo una vita trascorsa sui palchi di tutto il mondo e la pubblicazione di sette album, nel 2009 è iniziato un lungo silenzio che ha visto i membri della band dedicarsi a progetti solisti.
Ora, dopo undici anni, Arrington ha deciso di tornare tra noi utilizzando ancora il nome del gruppo, i cui componenti sono Aaron Hartman (contrabbasso, chitarra, organo e percussioni), Germaine Baca (batteria) e Benjamin Hartman (Sax) e, come ospite speciale, Alicia Rabins-Hartman al violino in “In this world”. Il risultato ci riporta indietro nel tempo quando gli Old Time Relijun erano un gruppo con un certo seguito,  con una produzione più pulita eppure debitamente distante da stucchevoli patinature; al contrario, efficacissima per far risaltare i movimenti sensuali e spasmodici della band. Il suono odierno degli OTR acquista nuova coscienza e rifinitura, ordina i dettagli divenendo meno caotico eppure risulta altrettanto efficace soprattutto grazie ad un rinnovato senso del groove, più rotondo e portante rispetto al passato.
“El Naranjo” è incasinata e su di giri e cantata in spagnolo come il titolo suggerirebbe, “Jeremiad” ha un andamento geometrico e rimbalza da un lato all’altro della cassa, “Crows in a row” si dipana vocalmente nei meandri di Beefheart, forse ancora di più, la disco-funk di “I know i’m alive” perfetta in qualsiasi dance party che si rispetti.
Disco che è un percorso che si snoda tra boogie dionisiaci e colpi funk che fanno schizzare lapilli à la “Trout Mask Replica” e si sporcano di no wave à la Contortions, riuscendo ogni volta a concentrare forza critica e ironia senza sbavature. Album che segue un suo percorso preciso di rock che si immerge nel blues alla Bo Diddley e nel R’n’B come avviene per “Dragon juice”, costruito su pochi accordi, ma che fanno battere il piede e muovere i fianchi. E che libidine sentire il sax che parte seguito da organo, chitarra e clarone schiamazzare. E lo strumentale “Danau Lindu” insinuarsi tra le maglie di un suono denso come una giungla lussureggiante.
Musica vera e ruspante, perfetta per questo mondo ormai al collasso tra pandemie e sovranismi, capace di trascinarci grazie ad una verve irresistibile!!!


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