MOOR MOTHER – ‘Jazz Codes’ cover albumIl nuovo disco di Moor Mother è accompagnato da brani con entrambi i suoi gruppi, l’apertura con Black Quantum Futurism mentre la chiusura presenta Irreversible Entanglements. Questa struttura sembra deliberata, così come molti altri elementi di questo album. Prendi, ad esempio, il titolo semplice e stridente di “Jazz Codes”, un’implicazione di definizione o sommatoria. O forse guarda la lista degli invitati, con la più ampia gamma di collaboratori fino ad oggi, con ogni traccia, tranne una, che accredita almeno un collaboratore. Anche prima di premere play, hai la sensazione che questo rilascio sia inteso come qualcosa di più grande e maestoso dei suoi lavori precedenti. Mentre i vecchi LP acclamati come il debutto “Fetish Bones”, o recenti successi come “Circuit City”, guidato dal free jazz, o la molto più legata al rap “Black Encyclopedia of the Air”, avevano nuclei concettuali concisi e ben sviluppati, imperniati su una fusione estetica e poetica combinata di sensibilità, i marchi di “Jazz Codes” fin dall’inizio come autocritica, unificante, una tesi alla Pollock fatta di frammenti assemblati.

Quindi sembra giusto che il materiale di questo disco sia il più innegabilmente jazz finora. Mentre i dischi precedenti sotto il nome di Moor Mother avrebbero potuto essere meglio concepiti come hip-hop anche se con una forte inclinazione all’avanguardia e al jazz, su “Jazz Codes” i tavoli si ribaltano, quasi come invertire il big bang, vedendo tutti i generi frammentati nati dal jazz riversarsi alla sua fonte madre.

Queste canzoni presentano di tutto, dall’R&B al nu-jazz al free jazz fino, ovviamente, hip-hop e altro ancora. C’è una tromba squillante dalla nebbia come l’intimità respirata di Matthias Eick; ci sono pezzi architettonici lontani guidati dal pianoforte come dai dischi ECM di punta; ci sono divagazioni di poesie blues, note di Billie Holiday e Duke Ellington; c’è l’avanguardia, dai Necks al suo gruppo jazz Irreversible Entanglements, che si fanno strada nel panorama jazzistico.

Circa a metà del disco, il titolo ha un senso: Jazz codes. Questo è ciò che il jazz è ai suoi occhi, spogliato della sua inclinazione conservatrice, gli stupidi sciocchi che chiamavano ciò che faceva Charlie Parker ‘musica cinese’, gli ingrati che dicevano che Miles ha rovinato tutto diventando elettrico e incorporando il funk, le persone che hanno liquidato Prince e l’hip-hop come illegittimi prima di voltarsi e dire lo stesso delle persone che hanno cercato di portare l’elettronica nell’ovile. Moor Mother mostra qui un livello di coerenza concettuale che sfugge alle persone formaliste.

“Jazz Codes” è sia forma ripetibile che impulso spirituale. Il risultato è una porta che si apre, un senso di accessibilità, un’affermazione che se ti piace il jazz probabilmente ti piace già il rap anche se non lo sapevi, che se ti piace il rap ti piace già il free jazz, che se ti piacciono quelli poi l’avanguardia elettronica è già qualcosa che trovi gradevole. È un ponte, il genere di cose che puoi fare solo con questo tipo di opere!!!


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