Nei miei ultimi dieci anni di ascolti mi sono dedicato con passione alla ricerca di chitarristi fingerpicking che suonassero quello che John Fahey chiamava American Primitive Music. Fu così che mi imbattei in Mike Cooper che però non aveva alcuna attinenza con quello che andavo cercando. Il musicista mi piacque, e molto, i dischi che ascoltai erano ristampe appena approntate dalla Paradise Of Bachelors e potevano collocare l’autore in ambito folk-blues per quanto risultasse piuttosto dissonante. In seguito il nostro diversificò il suo lavoro includendo l’improvvisazione, la musica elettronica e la scultura sonora. Si dedica anche alla scrittura, come critico musicale, e offre la sua conoscenza sulle musiche ed i musicisti dell’area del Pacifico del Sud (è anche un grande collezionista di camicie hawaiane). All’inizio della sua carriera, negli anni ’60, è stato un pioniere del British Blues collaborando con i leggendari Son House, Mississippi Fred McDowell, Howling Wolf, John Lee Hooker. L’album del 1969 ‘Oh Really!?’ è considerato uno dei migliori dischi di blues acustico di quel periodo. Con la nuova decade Mike è occupato a studiare un proprio nuovo stile fondendo il blues con i modi del free jazz. In quegli anni è impegnato a suonare con musicisti improvvisativi sudafricani, quali Dudu Pukwana, Mongezi Feza, Louis Moholo e Harry Miller. Produce in quel periodo dischi di folk dissonante e non canonico che ispirò musicisti quali Roy Harper e la Incredible String Band e ai giorni nostri tutta una serie di personaggi legati all’area free-folk, quali Jim O’Rourke, la No-Neck Blues Band, Thurston Moore che si sono sempre dichiarati ferventi ammiratori di Cooper. Sul finire degli anni ’80 si unisce al chitarrista slide francese Cyril Lefebvre, con cui inizia il progetto che dà alla luce quella musica che lui stesso definisce ambient/exotica.
Il nuovo album da poco uscito prosegue il discorso iniziato anni fa, e si lega indissolubilmente ai due dischi precedenti. ‘Raft’ è diviso in sette tracce, anche se sembra di ascoltare un unico pezzo, quasi una suite che fluttua e si modifica nel suo svolgersi. Cooper è spesso alla slide e la fa incrociare con field recordings, suoni esotici trasfigurati, intromissioni elettroniche per dar vita ad un viaggio mentale stupendamente evocativo. Dalla descrizione sembrerebbe un disco astruso e di difficile ascolto, eppure è un toccasana per queste bollenti e assolate giornate estive.
No responses yet