MATT ELLIOTT- “Farewell To All We Know”“Farewell To All We Know” è il nuovo album di Matt Elliott, dato alle stampe da Ici D’Ailleurs. Matt ha ormai lasciato le incursioni elettroniche nel rinato progetto di Third Eye Foundation, mentre a proprio nome pubblica i brani più personali, canzoni scarne ed acustiche che lo pongono sulla scia di personaggi quali Leonard Cohen, Mark Eitzel, Mark Kozelek e pure Bill Callahan, ma dai toni più sfuggenti e legate ad un approccio digitale, perché Matt è da quegli ambiti musicali che proviene.
Nelle note stampa allegate al disco, si legge: «”Farewell To All We Know” è un classico istantaneo imperniato su un pianoforte sensibile e sui superbi arrangiamenti di David Chalmin, sul violoncello di Gaspar Claus ed sul basso sottile di Jeff Hallam (che ha anche suonato con Dominique A e John Parish). C’è una chiara forma di alchimia in tutto questo e ancora troviamo atmosfere e paesaggi consoni a Matt Elliott, la musica folk dell’Europa orientale e lunghe canzoni che richiedono tempo per stabilirsi in esso. Tutto è lo stesso, ma è anche trasfigurato. Rendendo la sua musica forte e purificando e ridefinendo l’argomento, il lavoro di Matt Elliott è diventato molto più delicato. Tuttavia questo lavoro non è mai fragile né piegato su se stesso, e quindi diventa come una melodia vitale che vibra e si dispiega». Nonostante un uso di strumentazione acustica viene sempre da dire che i pezzi siano stati composti pensando all’elettronica poi tradotta in ambiente acustico/analogico.
Disco perfetto per i tempi che stiamo vivendo, in cui facciamo più fatica a vedere la luce. La sensazione che il lavoro ci lascia è di un viaggio amaro e rassegnato nei più tristi anfratti della realtà, in cui veniamo trasportati dolcemente, senza la volontà di una redenzione né la ricerca di una catarsi.
Melodie languide e struttura minimalista fanno dell’album un capolavoro sui livelli di “Drinking Songs”, in cui Matt sembra aver raggiunto una maggior consapevolezza artistica, con brani che sono un inno alle atmosfere malinconiche.
Atmosfera che si nota da subito in “What Once Was Hope”, canzone d’inizio che, quasi come una vecchia ninnananna, ci prende per mano sussurrandoci che il viaggio che stiamo intraprendendo non sarà piacevole, non ci dirà quello che vogliamo sentire, ma semplicemente ci permetterà di fare un’introspezione di noi stessi e, se necessario, di lasciar andare i fantasmi presenti nella nostra mente. La title track ci incoraggia a tagliare i legami con un passato fatto di dolore e mal di vivere attraverso una divagazione interiore per pochi accordi di chitarra e voce dimessa, che si impenna nel finale maestosa e stupenda.
“The day after that” si dispiega in una sorta di ur-folk europeo dove risuonano cori da taverna mitteleuropea. “Bye now” è jazzata, come fosse suonata poco prima dell’alba in un infimo localaccio di quart’ordine.
Un disco che rappresenta perfettamente la figura artistica di Elliott: un animo Folk che mai lascia annoiato chi lo ascolta, riuscendo a fondere uno stile sobrio e limpido con atmosfere malinconiche e talvolta tragiche, che tutti sentiamo il bisogno di concederci ogni tanto. Ancora una volta un’opera bellissima come quasi tutta quella precedente da parte di un artista vero!!!


Category
Tags

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *