“Oh Me Oh My” è allo stesso tempo elegante e feroce. Si sta mescolando in un momento e un balsamo il successivo.
Descrive storie sia globali che personali. La straziante adolescenza e la giovinezza di Lonnie Holley nel Jim Crow South sono ben raccontate a questo punto: la vendita di sé in case diverse da bambino solo per una bottiglia di whisky; i suoi abusi nel famigerato istituto di correzione per ragazzi di Mount Meigs; la distruzione del suo ambiente artistico a causa dell’espansione dell’aeroporto di Birmingham.
Ma la musica di Holley è meno un’esibizione di dolore sopportato e più una dimostrazione di perseveranza, di implacabile speranza.
Prodotto in modo intricato e amorevole da Jacknife Lee di Los Angeles (The Cure, REM, Modest Mouse), c’è sia un funk cinetico a onde corte che richiamano alla mente “My Life in the Bush of Ghosts” di Brian Eno e i suoni satellitari dello spazio profondo delle opere ambient di Eno. Ma è un risultato straordinario nel sonoro tutto suo.
È anche un punto d’arrivo nella raffinatezza dei testi impressionistici e del flusso di coscienza di Holley. Nella title track, che tratta della reciproca comprensione umana, Lonnie è in grado di fare un punto profondo come sempre in molte meno frasi: ‘Più andiamo in profondità, più possibilità ci sono, per noi di capire gli oh-me e comprendere il oh-mio.
Illustri collaboratori come Michael Stipe, Sharon Van Etten, Moor Mother e Justin Vernon di Bon Iver fungono non solo da cori di angeli e co-piloti per far volare il messaggio del nostro, ma anche come prova di Lonnie Holley come forza galvanizzante e iconoclasta attraverso la musica Comunità!!!
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