Nuovo album del quartetto di Dublino, intitolato “The Livelong Day” il loro terzo disco e il secondo pubblicato da Rough Trade.
Formato dai fratelli Ian e Daragh Lynch, Cormac Dermody e Radie Peat, i Lankum si sono guadagnati un folto seguito con i primi due dischi e con le loro euforiche esibizioni live. Il lavoro mescola alternative folk e psichedelia, consolidando la reputazione dei Lankum come uno dei gruppi più unici e discussi in Irlanda negli ultimi anni. I due fratelli hanno un retroterra punk, mentre gli altri due affondano le loro conoscenze nella tradizione, anzi sono proprio due puristi. La combinazione dei quattro riesce a dar luogo ad un sound che nasce dalle radici, ma non ne tocca i luoghi comuni.
La strumentazione usata dai nostri è legata alla tradizione irlandese, dalla concertina al tin whistle, dall’arpa alla viola, dal bayan al violino e banjo, ma non preoccupatevi sono presenti anche chitarre, percussioni e tastiere varie per una musica che esprime un’intensità dolente che a volte diventa dolorosa e una serietà a rischio di seriosità. Non si scade nella posa perché c’è assoluta onestà nell’approccio. I Lankun sono legati alla tradizione della loro isola, ma hanno una capacità di avventurarsi in un suono più alieno che si mescola alla drone music, al krautrock, e a certa psichedelia capace di farci vibrare e che non disdegna cimentarsi con quella heavy.
Se questa musica è oscura lo è per necessità, non è solo una questione legata alla pessima situazione attuale. Raccontano storie che dimostrano come nel passato fosse molto più difficile divertirsi, perlomeno assai più di oggi. Il primo pezzo spiega tutto. Violino, concertina, chitarra, harmonium rendono arcana quella che era la scanzonata “The Wild Rover”, resa celebre da Dubliners, Pogues e persino Stiff Little Fingers. La rendono un lamento di dieci minuti, ipnotico ed intenso che nella parte finale diventa un bordone che non ha niente da invidiare a quelli dei GY!BE.
La successiva “The Young People” sembra quasi un anti-climax con il suo attacco sottotraccia da canzone alt-folk. Poi cresce con modalità circolare fino a diventare un inno avvolgente e coinvolgente con un altro bordone di incredibile profondità fatto con le uillean pipes. “Ode to lullaby” è un pezzo colmo di stridii, echi e dissonanze che danno forma ad uno strumentale di struggente intensità che conta dell’utilizzo di viola, concertina e wurlitzer.
Detto che il produttore John “Spud” Murphy è bravissimo nell’enfatizzare la livida luce dei suoni, ecco che “The Livelong Day”, insieme ad altre uscite recenti (Red River Dialect e Richard Dawson), è ulteriore conferma della costante significanza e valenza della musica folk, qui in una veste visionaria ed oscura, attraente a tal punto che non sarà facile staccarsene!!!


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