Fedele alla propria natura, la sassofonista Lakecia Benjamin mantiene viva la fiamma della dinamite nel suo fumoso seguito dell’incendio di “Pursuance” (Ropeadope, 2020), la dedizione ancora calda al tatto alla musica e alla spiritualità di John e Alice Coltrane.
Coprodotto con la massima potenza femminile da Benjamin e Terri Lyne Carrington, la marea torrenziale “Amerikkan Skin” tende un’imboscata alla propria coscienza attraverso l’urgenza delle sirene della polizia solo per lasciare il posto all’altrettanto urgente detto della pensatrice radicale, attivista, educatrice e prigioniera politica non molto tempo fa, Angela Davis. La speranza rivoluzionaria dimora nelle donne che sono state abbandonate dalla storia. . . Questa è l’era delle donne, Davis intona con aria di sfida, mentre un altrettanto provocatoria Lakecia, il suo luccicante contralto pronto per l’azione, pilota il trombettista Josh Evans, il tastierista Victor Gould, il sintetista Julius Rodriguez, il batterista EJ Strickland, il bassista Ivan Taylor e il percussionista Negah Santos attraverso un eccitante, febbrile gioco post-bop con tutti gli stili moderni. Nessun altro disco oltre a “Phoenix” potrebbe iniziare in questo modo.
Scritta in risposta all’estate torrida in cui siamo emersi dopo che il peggio della pestilenza era (si spera) alle nostre spalle, “New Mornings” con quella patina blu fredda tesa e incisiva è il complemento perfetto per l’esplorazione più spaziale della title track. Con la preminente cantante/polistrumentista d’avanguardia di Los Angeles, Georgia Anne Muldrow, ai sintetizzatori, il suono e la visione vigorosi ed espansivi di Benjamin emergono più audaci che mai. “Jubilation”, guidata in parti uguali dal pianista ospite Patrice Rushen. L’impavidità di salto di genere serve ulteriormente ad aprire la già grande tenda della nostra, che naturalmente ci consegna alla ‘jazzoetry’ della poetessa Sonia Sanchez e al contrabbasso agile e profondamente radicato di Taylor in “Peace is A Haiku Song” e al suo compagno di guida, l’esplosione di marcia di “Blast”.
Terrestre e provocatoria, Lakecia porta i vecchi maestri nelle proprie ossa, realizzando pionieri come “Moods” (con la tromba ad alta quota di Josh Evans che circonda la gravità della sassofonista che sfida il contralto, mentre Gould spinge con forza la melodia in avanti) e il più tranquillo, ma non meno definito “Rebirth”, non solo omaggi al passato, ma fari per il futuro. Così anche “Trane”(Impulse! 1963). Parlando dei vecchi maestri, Wayne Shorter contempla la vita sulla breve e ondulata “Supernova”. Aggiungi la spaziosità avvolgente di “Basquiat” al mix e un sicuro ‘best-of-2023’ emerge proprio davanti alle nostre orecchie e ai nostri occhi!!!
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