KREIDLER – ‘Spells And Daubs’ cover albumChi se li ricorda? Era la fine degli anni novanta, periodo in cui ci si rimembra con piacere di quello che venne definito il nuovo Kraut rock di cui i Kreidler sono sempre stati una certezza.

Ora avvicinandosi al loro 30° anno di attività, i tedeschi continuano elegantemente ad andare avanti/indietro con un teso, ma flessibile, tributo alle loro influenze reciproche dalla musica pop britannica.

In 10 brani, ridotti dalle prime sessioni più abbondanti, si adattano magnificamente all’impeto ritmico melodico che si è trasformato nella traduzione dal soul statunitense al synth-pop inglese intorno ai primi anni ’80; spremendo la propria essenza in forme strumentali eleganti che sono state lucidate in uno sfolgorio da Peter Walsh, il quale è stato scelto personalmente dalla band per le sue credenziali di mixer da paradigma, forse in particolare sulla new wave/synth di Heaven 17 – quelli del pop ultra classico “Penthouse and Pavement”.

Il diavolo sta davvero nei dettagli di “Spells and Daubs”, con esibizioni in studio abili e disciplinate rese accattivanti più piccanti, spaziose dall’esperto mixaggio. E con Detlef Weinrich della band, ora acclamato come DJ cult insieme ai suoi resident al Salon Des Amateurs, Lena Willikens e Vladimir Ivkovic, non è difficile tracciare collegamenti tra i suoi dj set e lo stile di produzione su questi groove estremamente stretti, perfettamente galvanizzati dagli angusti contorni melodici, dell’efficienza quasi da camera del gruppo.

Tra i calcoli metrici lenti e spavaldi di “Tantrum”, e la processione mistica di “Arena”, ti mostrano i movimenti più stretti al servizio di un quadro più ampio, freddamente sottolineato dalla presenza di linee di basso in stile Mick Karn scivolose e senza tasti che infilano da un arabesco in stile Timba-incontra i Japan di “Toys I Never Sell” alla mite beatitudine di “Revery”.

“Spells And Daubs” è come una raccolta di racconti. I suoi dieci pezzi esplorano lo stesso spazio disegnato insieme da un arco sovrapposto. Tutti hanno la lunghezza di un singolo, e ognuno ha il potenziale di un singolo nel modo in cui gli arrangiamenti sono disposti – così seducente è la linea melodica e il ritmo. Questa sinteticità è stata forse ascoltata per l’ultima volta nel disco eponimo del 2000. La batteria è potente con un leggero swing. Il basso si alterna oltre la sua funzionalità e il suo indicatore solo della bassa frequenza, sale in picchiata e prende il comando melodico.

Tutto è avvolto da un enigmatico disegno in bianco e nero del prolifico artista e regista Heinz Emigholz dalla sua serie Basis of Make-Up. Forse niente che non si sia mai ascoltato, ma un porsi in una continua reinvenzione che funziona sempre accattivante!!!


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