Tornati a calcare i palchi dal 2018, i June Of 44 hanno deciso di dare un seguito discografico al precedente “Anahata” dopo 21 anni. Il 7 agosto è uscito, via Broken Clover Records, l’album “Revisionist: Adaptations & Future Histories In The Time Of Love And Survival”. Dal titolo è facile desumerne il contenuto, ovvero reinterpretazioni da parte della band di Louisville di alcuni brani di repertorio tratti da “In The Fishtank 6”, “Four Great Points” e dallo stesso “Anahata”.
Nel disco sono inoltre presenti una versione di “Paint Your Face” (per l’occasione re-intitolata “Cut Your Face”) registrata da Bob Weston nel 1996 e mai pubblicata fino ad ora, e due remix dello stesso brano a cura di Matmos e di John McEntire dei Tortoise. Tra gli ospiti c‘è anche Sacha Tilotta, batterista del math rock trio bolognese Three Second Kiss.
Due anni fa gli Uzeda festeggiarono i loro trent’anni di attività invitando la creme di quello che fu il math rock e la sperimentazione, tra gli ospiti figuravano anche i June Of 44. Fu il preludio all’uscita di una nuova prova discografica e, per me che li adoravo, fu un colpo al cuore. Quindi, davvero Fred Erskine, Sean Meadows, Doug Scharin e Jeff Mueller sono tornati in studio? Sì. Davvero gli Uzeda e la loro famiglia allargata sono riusciti nel miracolo di riportare in vita la Creatura, messa in ghiaccio vent’anni or sono? Sì. È davvero un disco completamente nuovo? Sì. E no. Come saprete i nostri sono stati membri della scena underground di Louisville in Kentucky, che aveva traghettato l’hardcore verso i territori del post-hardcore (Squirrel Bait), del post-rock (Slint, Rachel’s) e dell’indie-folk (Will Oldham/Bonnie Prince BIlly), i June of 44 nascono dalle costole di diverse band che mescolavano stili e sottogeneri (Rodan, Lungfish, Rex, Hoover, Codeine), dove lo slowcore poteva trovare una quadra col math-rock, così come il jazz con il punk. Dal 2018 inizia quindi un lavoro di rilettura del catalogo, seguito lo scorso anno da un altro tour e dal ritorno della band in studio alla fine dell’anno con David Lenci.
Dal titolo si evince che il quartetto del Kentucky ha come base di partenza il passato per disegnare il futuro. Quindi brani scritti negli anni novanta e qui presentati con una nuova veste sonora adattata allo stesso contenuto. Lo scopo è quello di donarci una musica che sia sganciata da un’epoca determinata e che risulti, quindi, senza tempo. L’album si compone di otto brani, idealmente suddivisi in due lati di un vinile che sono introdotti da due ottimi remix, in apertura quello dei Matmos e a metà quello di John McEntire, che rappresentano il “sottosopra” dell’universo emotivo della band: è come se si colmassero le pause e si togliesse il respiro alle canzoni per dare sfogo a una claustrofobia e a un’angoscia sotterranea mai così manifeste nella musica dei June of 44. Laddove sono i June a tornare protagonisti diretti assistiamo alla trasformazione futuribile: “Post-Modern Hereditary Dance Steps” prende quel punk ’77 che fu e lo appesantisce post e lo ammanta di furia garage che porta via come un treno, “No Escape”, “Levitate” e “Generate” estremizzano la dicotomia basso-batteria, si fanno muscolari dub-math con le chitarre a strappare lo spazio come tanti fogli di carta multicolore.
Sembrano quasi nuovi musicisti, lo si intuisce dagli arrangiamenti maturi e focalizzati alla resa strumentale, mai così precisa. “ReRecorded Syntax” è un tumulto malinconico, “Cardiac Atlas” una spietata combinazione post-rock, ambient ed esagerazioni vocali slowcore, che completano un quadro già sufficientemente bello.
Inattesi, ma sempre in grado di emozionare, anche con materiale già conosciuto!!!
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