Nel 1993 la Rhino pubblicò un box di due cd di John Prine dal titolo “Great days”. Le note introduttive recitavano “…scrivere per me significa riempire un foglio vuoto avendo cura di lasciare fuori ciò che non è indispensabile”. Mai frase più bella e ricca di contenuti mi capitò di leggere.
Dopo un decennio di scarsi consensi sia di critica che di pubblico, John aveva pubblicato un album nel 1991 dal titolo “The missing years” che fu insignito di un Grammy Award e vide la partecipazione di ospiti d’eccezione quali Bonnie Raitt, Bruce Springsteen e Tom Petty. Ognuno aveva da sdebitarsi nei suoi confronti. Alla riunione mancava solo John Mellencamp, ma solo perché non fece in tempo a partecipare.
Il disco venne premiato come miglior lavoro di folk contemporaneo di quell’anno. In fondo quello che Prine aveva sempre proposto nei sui vent’anni di carriera, una miscela di folk, rock e country.
Lo considero uno dei miei cantautori preferiti, ci son un paio di canzoni, “Sam Stone” e “Angel From Montgomery” che fanno parte del mio juke-box ideale.
La qualità artistica di “The missing years” e il premio ricevuto lo riportarono all’attenzione del pubblico e quel decennio è, forse, la fase della sua carriera più interessante e prolifica.
È con sommo piacere che mi accingo a parlarvi della sua nuova fatica “The tree of forgiveness”, primo disco con canzoni nuove dalla pubblicazione di “Fair and square” datato 2005.
Non è che il nostro sia stato inoperoso in questo lungo lasso di tempo, ma si era dedicato a album di duetti con cantanti femminili ed è stato colpito da problemi di salute che lo hanno sicuramente rallentato.
L’opera in questione si compone di dieci tracce ed è prodotta da Dave Cobb, che, come al solito, bada al sodo negli arrangiamenti, che sono diretti e senza fronzoli e si avvale di diversi autori per la stesura dei pezzi.
Non mancano ospiti di rilievo quali Jason Isbell, Brandi Carlile, turnisti d’eccezione e la qualità della registrazione che vede l’utilizzo del mitico studio A della RCA di Nashville.
A livello di liriche i temi trattati sono quelli che lo hanno sempre contraddistinto cioè rimpianto, cose della quotidianità, vecchiaie pregne di insoddisfazione. Tutto questo è dovuto non a mancanza di ispirazione, ma piuttosto perché si tratta delle preoccupazioni della gente comune, dei loro dolori e sentimenti.
Quattro o cinque canzoni si elevano dalla media, pezzi che fanno dell’immediatezza la loro carta vincente, che riescono a colpirci al primo ascolto, ma hanno la capacità di rimanere impresse a lungo.
“God only knows” è una classica ballata country in cui le voci accompagnano deliziosamente quella di John. È stata composta anni fa insieme a Phil Spector e ha dalla sua una bellezza e profondità che ci toccano nel profondo.
“I have meet my love today” che ci colpisce per gli arrangiamenti spartani in cui la voce domina ed è accompagnata e sostenuta da quella di Brandi Carlile.
“Knockin’ on your screen door” ha un tocco elettrico ben sostenuta da basso e batteria. Il suono è quello classico tra folk, country e la traccia, una volta ascoltata, non si dimentica più.
Brano dal titolo lunghissimo, “Egg & daughter nite, Lincoln Nebraska 1967(crazy bone)”, fa della semplicità il suo punto di forza, country dal punto di vista del suono con un humor tipicamente priniano.
“Lonesome friends of science” è una composizione 100% Prine, con un organo che contrappunta una voce leggermente stanca e anziana.
Chiude il lavoro “When i go to heaven” che ha una ricchezza strumentale sconosciuta al resto del disco, le voci che affiancano quella di John portano ad un clima quasi festoso per una chiusura che sembra donarci speranza.
Un disco prezioso che ci avvicina alle cose che realmente contano nella vita.


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