Ho sempre sostenuto che i dischi migliori siano quelli con registrazioni professionali, pubblicate da etichette discografiche, major o indipendenti che siano, mentre l’autoproduzione porta all’uscita di prodotti che peccano sotto l’aspetto della produzione e dei suoni. Oggi, però, devo farmene una ragione, perché molti dei dischi che ascolto sono fatti in casa in quanto le discografiche tendono a pubblicare sempre meno per cui se si vuole continuare a coltivare la propria passione bisogna adeguarsi a quello che viene proposto dal mercato.
Ecco arrivato sul mio lettore un dischetto molto piacevole di un gruppo sconosciuto fino ad oggi, i Cold Weather Company che, con “Find light”, danno alle stampe il loro terzo lavoro. Provengono dal New Jersey e propongono un suono dotato di una certa originalità. Non sono classic rock nè Americana, ma un combo che si può accostare al folk rock, in cui prevalgono atmosfere intime e le cui melodie sembrano piuttosto creative, mai scontate. Il sound ruota attorno alle chitarre e voci di Brian Curry e Jeff Petescia e al pianoforte di Steve Shimchick a cui danno una mano, per l’occasione, una serie di amici e contemporanei su percussioni, basso, violoncello, violino, tromba, flauto, sax e clarinetto, creando una colonna sonora che va ben oltre i suoni spartani della band di “Somewhere New” del 2015 e “A Folded Letter” del 2016. “Siamo davvero orgogliosi dei primi due album, che abbiamo registrato noi stessi, ma non volevamo perdere l’occasione di riempire queste nuove canzoni con strumenti aggiuntivi”, afferma Petescia, uno dei due chitarristi del gruppo. “Volevamo dare ad ogni canzone il suono che meritava.”.
Registrando con il produttore Pat Noon (River City Extension, Brick + Mortar) e l’ingegnere vincitore del Grammy Alan Douches (Sufjan Stevens, Beirut, Grizzly Bear), “Find Light” presenta ancora uno stile canoro più minimalista su brani come “Circles” e “Birds on a String” – ma anche una produzione decisamente robusta di “Brothers”, “Do No Harm” e “Reclamation”, che trovano dietro la batteria Zach Jones (A Great Big World, Sting). Le atmosfere dei brani sono quasi sempre sommesse e delicate, mai noiose grazie al feeling che i nostri sanno dare alle esecuzioni e alla capacità di proporre canzoni che non hanno eguali in relazione a ciò che si ascolta in giro. La loro passione è sempre stata per la musica acustica, ma, ultimamente, ascoltando i loro musicisti preferiti sperimentare nuovi approcci e far crescere il loro suono, hanno convenuto che non ci sono regole – nessuna” purezza”. La musica è musica e la crescita e l’esplorazione sonora sono essenziali per gli artisti. Chiedere delle influenze e il gruppo si lancia in una vasta rete, citando James Blake, Fleet Foxes, Bon Iver, The Decemberists, Dave Matthews Band, The National e Iron & Wine, tra gli altri.
L’apertura è affidata ad “Hazel” ballata suggestiva suonata con trasporto nonostante una strumentazione acustica: il piano e la chitarra si ergono a protagonisti assoluti, mentre il finale ci fa ascoltare un crescendo di grande impatto emotivo. La voce particolare di Shimchick da un tocco personale alla pianistica “Clover”, pezzo dal ritmo spinto e con una soluzione melodica affatto banale, ma ancora meglio risulta “Brothers”, ballata dal taglio rock con arrangiamento basato sull’intreccio chitarra piano, che è ricorrente per tutta l’opera. I testi sono scritti singolarmente, ma giungono tutti al medesimo esito cioè sul simbolismo. Prendete “Reclamation”, si concentra sulle due esperienze di pre-morte di Curry (un grave incidente d’auto e una caduta nel ghiaccio in un lago ghiacciato) e sul loro impatto psicologico, sul tentativo di affrontare la depressione e l’ansia per la prima volta, riuscendo finalmente a condividerla ed accettarla.
Bella scoperta e magnifica realtà questa band, originali, creativi e in grado di esprimere una forza creativa collettiva che continuerà a guidarli!!!
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