Incredibile nuova opera in 12 parti dell’alfiere del jazz di Chicago Angel Bat Dawid, che avanza la visione di “The Oracle” del 2019 con una critica convincente della politica razziale negli Stati Uniti contemporanei.
“Requiem for Jazz” è un vasto trattato sulla storia afroamericana di uno dei principali protagonisti della musica jazz e significative voci creative. Ispirato in parte dal dialogo del film di Edward O. Bland del 1959 “The Cry of Jazz”, il secondo album solista di Angel delinea i temi del documentario in un mondo, circa 60 anni dopo, in cui la musica jazz ha ancora un potente scopo come espressione di Afro-Identità americana, e in particolare ‘fa paragoni formali tra la struttura della musicale e l’esperienza afroamericana – come un’esperienza di libertà e moderazione, di gioia e sofferenza – che si manifesta nel trionfo dello spirito sullo schiacciante pregiudizio della vita quotidiana’.
Nel processo, “Requiem for Jazz” collega la tentacolare natura operistica spaziale degli album di Sun Ra, e l’ambizione cosmica di Alice Coltrane, e l’epica teatrale messa in scena da dischi rap e R&B contemporanei di artisti del calibro di Beyonce o Kendrick Lamar, per realizzare un’ora impareggiabile di musica che unisce e trascende le passate generazioni di musica nera creata dopo il movimento per i diritti civili.
Osservando di sottecchi un’industria multimiliardaria costruita sul riconfezionamento dei suoni della sofferenza dei neri in un commercio gestibile, Dawid prende il film del 1959 e le sue immagini di Sun Ra nel ‘cappuccio’, come punto di immersione per il proprio enorme ensemble, Tha ArkeStarzz, per esplorare un mix meravigliosamente libero di jazz acustico ed elettronico commistionato con inflessioni contemporanee del suono trapano che ha avuto origine nella sua nativa Chicago e, cosa più impressionante, un senso di messa in scena operistica o drammaturgia che colpisce pesantemente al primo ascolto , ma ci vorranno molti ascolti ripetuti per comprenderlo appieno.
Come ciò implica, non è un ascolto ‘facile’ a nessun livello, ma è ricco di soddisfazioni e di spirito per chiunque sia disposto a fare un passo indietro e cercare di assorbire tutto; dai vocoder alieni dell’intro, attraverso l’ossessionante recital di “Kyrie Eleison”, una maestosa “Confutatis-repression”, e l’inclusione del bandleader dell’Arkestra Marshall Allen, o il finale sconvolgente del corale “Long Tone for Rayna Golding”.
Dal vivo l’opera diviene una prestazione multimediale con ballerini e artisti visivi, parecchi strumentisti dell’area della ‘Windy City’ e, molto importante, un coro a quattro voci, l’anima dell’intero lavoro. Opera di capitale importanza!!!
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