“There Is No Year” è il nuovo album degli Algiers registrato nel corso dell’ultimo anno a New York dagli amici di infanzia Franklin James Fisher, Ryan Mahan e Lee Tesche, originari di Atlanta, e dal batterista Matt Tong, il disco è stato prodotto da Randall Dunn , già al lavoro con (Sunn O)))) e da Ben Greenberg (Zs, Uniform). Lo spettro sonoro in cui si è mossa questa volta la band è un qualcosa in grado di inglobare l’R&B classico e il post-punk, lo Scott Walker periodo 4AD e Iggy & Bowie altezza Heroes.
Il polistrumentista Ryan Mahan parla così: “Lo spettro dell’espropriazione tormenta tutti noi. Ovunque l’imperialismo reprime le storie macabre del nostro passato, presente e futuro. I testi di Franklin in “Dispossession” e nel nostro nuovo album “There Is No Year”, come un romanzo neo-Southern Gothic con un sottofondo di anti-oppressione, testimoniano questo orrore moderno e raccontano i vari modi in cui tutti noi – vivendo e desiderando – sopportiamo e resistiamo a suoi continui attacchi.”.
Il gruppo piace perché rimette indietro l’orologio della storia del rock, non per divertirsi con sonorità perdute o filosofie esoteriche, ma per strappare il velo d’indolenza che fa annaspare la musica rock, rimettendo in gioco quel fervore anticapitalista e rivoluzionario che dal blues all’avanguardia, passando per l’elettronica e il pop, è stato l’elemento purificante di un arte sempre più incline al narcisismo.
Il nuovo lavoro segue a distanza di tre anni “The Underside Of Power”. Non sono ancora una band di prima grandezza, ma più da club e si sta costruendo un solido ed affezionato seguito sia in USA che nel Regno Unito e nel resto d’Europa. Fondamentale è stata la loro attività concertistica, che sul palco vede aumentare ulteriormente l’appeal di cui sono capaci in studio.
Il primo aspetto che balza all’orecchio è che i ragazzi non smettono di ricercare nel tentativo di evolversi, pur rimanendo fedeli alla loro cifra stilistica. A dispetto di tutto quanto affermato ora gli Algiers sono legati ai chiaroscuri che vedono incontrarsi soul-gospel e post-punk, creando atmosfere dotate di una cupezza di fondo a cui non mancano squarci di brillantezza. Le svisate elettriche si amalgamano con le intuizioni elettroniche, le ritmiche serrate si alternano a momenti più morbidi e rilassati. L’approccio alla materia vede l’alternanza di nervosismo ed abrasività con la visionarietà. Il canto è sia da chiamata alle armi che estatico e meditativo. I testi sono improntati ad una negatività di fondo senza raggiungere vertici di nihilismo assoluto.
Non sarebbe giusto parlare di ogni singolo pezzo perché tutti mi paiono dotati di un livello di scrittura notevole. Potrei citare l’iniziale title track dall’andamento ossessivo come pezzo chiave per entrare nel loro universo sonoro. Come non rimanere ammaliati dall’assalto sonico di “Void” attraverso una veste non convenzionale. Irresistibile “Chaka”, dotata di sensualità malata, che agisce nell’ombra e che subisce le dissonanze di un sax per un brano che potrebbe dire la sua nei dancefloor.
Sono unici pur rimanendo ancorati alla storia del rock, non lasciatevi sfuggire un lavoro che a me sembra irrinunciabile e che verrà ricordato come uno dei migliori del neonato 2020!!!


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