Che il buonumore stia da un’altra parte è chiaro fin dall’intestazione del primo disco dell’inglese Keeley Forsyth: “Debris”, “macerie”. Presentando gli otto brani inclusi nel disco, lei stessa li ha paragonati del resto a “blocchi di metallo che cadono dal cielo”: non esattamente un facile ascolto, insomma.
Keeley Forsyth è una compositrice, cantante e attrice inglese, proveniente da Oldham. “Debris” è il suo esordio per Leaf Label, in uscita su cd, vinile e formato digitale.
Lo stile minimale della Forsyth si rifà all’avanguardia, con lo sguardo rivolto verso il mondo dell’ambient e dei synth. Il lavoro è un’opera prima sorprendente, sulle orme di Jenny Hval e Nils Frahm.
Keeley si è fatta un nome come attrice grazie alle numerose apparizioni in importanti produzioni televisive e teatrali, tra cui le serie “Heartbeat”, “Luther” e “Criminal Justice”.
Si tratta di un album elegante, prodotto in maniera impeccabile seguendo i dettami dello stile minimal che da sempre accompagna la carriera artistica di attrice della nostra.
La sua voce esce in maniera sublime e candida, in contrasto con i testi che parlano dei duri momenti della sua vita privata. “Sono successe molte cose nella mia vita, dure e difficili. Il disco è stato realizzato pensando a quelle situazioni”. Alla realizzazione del disco hanno partecipato anche il pianista e compositore, nonché compagno di label, Matthew Bourne, e il musicista e produttore Sam Hobbs.
Si percepisce la solitudine di una voce e di contorno pochi e misurati strumenti acustici ed elettronici, più spesso solo chitarra classica e violino. Il tono è mesto, affine allo stile austero di certe composizioni mature di Scott Walker. E per altri versi torna in mente Nico: non a caso, i provini originari erano stati registrati su scala domestica accompagnandosi all’armonium. Lo strumento riaffiora qui e là nel corso dell’album, ad esempio in “Butterfly”, che insieme a “Black Bull” e “Large Oak” contribuisce a definirne l’identità: orchestrazioni minime a base di archi, pianoforte e chitarra acustica, ma in cui il silenzio ha la stessa valenza del suonato. Fa eccezione, in chiusura, “Start Again”: su un ombroso groove elettronico scorre una melodia quasi pop chiamata a descrivere appunto la sensazione di un “nuovo inizio”.
Tutto si svolge in ventotto minuti di durata, ma l’intensità è tale che il tempo sembra dilatato all’infinito. Sembra un disco a carattere terapeutico, creato per dare pace ad un’anima inquieta. Freddo, spartano, ma di fascino misterioso!!!
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