Il mondo musicale nordamericano è talmente vasto che risulta impossibile poter seguire tutto minuziosamente. Molto spesso si vengono a scoprire musicisti di cui nulla si conosceva, che invece hanno i numeri per poter appassionare gli amanti del suono americano nella sua forma più classica. Matt Patershuck è uno di questi e, nonostante sia canadese, affonda le sue radici nel country-rock del sud degli Stati Uniti. Le sue influenze le possiamo far risalire a gente quale Kris Kristofferson, Willie Nelson, Waylon Jennings e John Prine, anche se quest’ultimo non è sicuramente un uomo del sud.
“If Wishes Were Horses” è il risultato della collaborazione di Matt con il pluripremiato string player e produttore, Steve Dawson. Non si tratta dell’esordio, Patershuk ha già pubblicato altri tre lavori, ma posso affermare con sicurezza che siamo di fronte ad un artista molto valido, dotato di buona penna e capace di avvolgere i propri brani con un suono veramente giusto e accattivante. I pezzi sanno spostarsi con abilità tra country, folk, rock e Americana, sono cantati in maniera appassionata e con una vocalità bassa e profonda, ma intima e ricca di soul. Eccellente anche il cast a supporto, composto da validi strumentisti tra i quali si eleva la mitica figura di Charlie McCoy, armonicista di Nashville.
Le qualità acustiche, che caratterizzano la registrazione, sono state raggiunte al Warehouse Studio di Vancouver, che è di proprietà di Bryan Adams. L’album è scandito da quattro strumentali che sembrano avvolgerci in scene di qualche western dimenticato; sembra quasi di poter toccare le rocce e i cactus. Si tratta di una raccolta di qualità che potrebbe essere apprezzata anche fuori dai confini natali se si riuscisse a reperire con una certa facilità.
L’apertura è affidata a “The blues don’t bother me” bel country-rock di sopraffina elettricità con la chitarra e l’organo sugli scudi e con sonorità profondamente sudiste, scegliete voi lo Stato di riferimento. “Ernest Tubb had fuzzy slippers” è uno squisito pezzo country il cui inizio vede l’accompagnamento delle chitarre, poi si apre agli altri strumenti diventando irresistibile pur mantenendo un ritmo lento. Da segnalare il magnifico assolo di steel. Matt canta brani autografi, ma il cui contenuto trasmette temi universali, che vede la vulnerabilità come argomento principale anche se sottilmente velata.
“Sugaree” è proprio il brano dei Dead, e viene resa rivestendola di pochi strumenti, dandole una verniciata country-blues, grazie alla quale la melodia indimenticabile di Jerry Garcia esce alla grande. È una cover che mette in mostra l’anima del nostro, attraverso un cantato grave e con harmony vocals squisitamente misurate alle spalle.
“Velvet Bulldozer” racconta la storia di molti che vivono e suonano il blues, a livello sonoro è un corposo funk-rock che potrebbe ricordare i Little Feat del periodo aureo, con la slide che accompagna la voce carica del leader ed un assolo di armonica di McCoy per cui non ci sono parole.
La conclusione è affidata a “Red hot poker” brano ricco di ritmo e feeling. Una affascinante scoperta, datevi da fare per trovarlo, non vi pentirete del tempo impiegato per farlo vostro!!!


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