Un mio cliente, che ho soprannominato “Il Becchino”, mi riferisce sempre quando ci lascia qualche musicista. Di solito non do peso alle sue mail, ma quella del 27 di ottobre ha suscitato un piccolo malessere. Se ne era andato Paul Barrere, chitarrista e voce nonché compositore dei magici Little Feat, forse il mio gruppo preferito di tutti i tempi.
Paul era entrato nella band appena prima della pubblicazione di “Dixie chicken” terzo album della formazione californiana e capolavoro assoluto dei nostri. Si era presentato per suonare il basso, in sostituzione di Roy Estrada, ma molte volte trovi le persone giuste così per caso. “In quanto bassista sono un chitarrista eccellente”, scherzava spesso.
Che gruppo sono stati i Little Feat, capaci di far convivere il country e le tecniche blues con le ritmiche frizzanti del New Orleans sound di Allen Toussaint. Sono stati grande influenza per tutto il percorso artistico di Bonnie Raitt e Sonny Landreth e non è difficile intravedere tracce del loro stile nelle produzioni di Ben Harper e in formazioni quali i Radiators, Subdudes e Black Crowes.
Paul era il gemello chitarristico di Lowell, autore prolifico, agile suonatore di slide dalla voce black. Barrere ne era il contrappunto, ma anche il contraltare, in un dualismo che è stato essenziale per la nascita di grandi dischi. Ne divenne l’anima soprattutto dopo la prematura morte di Lowell George, proprio quarant’anni fa.
Nome che dirà qualcosa solo ai conoscitori del rock, ma membro importante di una delle più grandi band della storia. I Little Feat erano energia pura, vitale, rock blues tinto di soul, jazz, folk e cajun e soprattutto dannato funky! Un suono caldo e rilassato del Sud che ti faceva muovere immancabilmente il piedino, costruzioni musicali complesse e imprevedibili che ti provocavano una salutare perdita di orientamento nell’ascolto. Ti prendevano e ti portavano via in territori sconosciuti.
All’inizio il nuovo chitarrista si pose unicamente come strumentista, era davvero un chitarrista eccellente, a suo agio tra i generi (rollingstoniano quanto basta in “Over The Edge”), capace di impennate fusion (“A Day At The Dog Races”) e come tutti i Feat dotato di voce personalissima. A quel tempo la band era saldamente nelle mani di Lowell, che imponeva una dittatura compositiva in cui si facevano largo eroi improbabili e camionisti, rappresentavano l’altra faccia di Los Angeles , che si contrapponeva a quella degli Eagles, più propensi a cercare i loro problematici personaggi tra il lusso dei canyon che non nei bassifondi della città.
Paul nacque in California il 3 luglio 1978, figlio di due attori di Hollywood, ha dato il suo contributo compositivo a pezzi come “All That You Dream”,” Skin It Back”, “Time Loves a Hero”, “Feats Don’t Fail Me Now”, classici che compaiono tutti in “Waiting For Columbus”, forse l’album live definitivo dei tardi anni Settanta. Nel periodo di disorientamento degli anni Ottanta seguito alla morte di George ha dato vita ai Chicken Legs, per poi tornare nel gruppo madre con “Let it Roll”, l’album del 1988 con Craig Fuller e Fred Tackett.
Ha mandato avanti la band dopo uno sbandamento non indifferente, insieme a una sezione ritmica da urlo composta da Kenny Gradney (basso), Richie Hayward (batteria) e Sam Clayton (percussioni), unita al genio tastieristico di Bill Payne. Ha suonato anche con Taj Mahal e Bob Dylan, Jack Bruce e Robert Palmer, sua la chitarra su “Lotta Love” di Nicolette Larson.
Ha suonato spesso in duo con Fred Tackett, in acustico e hanno fatto anche tournee. Ha suonato in numerosi concerti con Phil Lesh and Friends nell’ottobre 1999 e da marzo a giugno 2000. Ha anche suonato in tournée con Bob Dylan. Io lo voglio ricordare al Festival di New Orleans del 1995, a cui assistetti, quando, annunciando “Dixie chicken”, puntò l’indice verso il cielo e disse “This is for you”. Non riuscii a trattenere le lacrime. Voi ricordatelo andando ad ascoltare i dischi dei Feat, ne rimarrete ammaliati, ne sono certo, come accadde a me più di quarant’anni fa quando scoprii “Sailin’shoes”!!!
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