ATTILA CSIHAR – ‘Void Ov Voices’ cover albumMayhem e Sunn O))), ‘vocalist metal estremo’, Attila Csihar evoca antichi rituali in questo sorprendente viaggio di testa di lunga durata registrato a Baalbek, la casa degli immensi monoliti romani del Libano. Combinando tecniche di canto di gola con registrazioni sul campo e suoni di vento xenarmonico, il cantante ci trasporta in un mondo di antiche tecnologie dimenticate e misticismo.

Csihar ha sviluppato il progetto “Void Ov Voices” quasi due decenni fa come sfogo per il proprio interesse per le forme rituali. La sua idea era quella di sviluppare performance effimere ‘site-specific’ che traessero il loro potere dagli spazi stessi, alimentando la storia. Il fascino per le antiche rovine lo ha portato a Baalbek, una città in Libano precedentemente nota come Heliopolis che ospita alcune delle rovine romane più imponenti del mondo. Il complesso del tempio, fatto di gigantesche lastre di granito bianco e marmo bianco grezzo, contiene i monoliti più grandi del mondo, un fatto che aveva preoccupato Attila per anni. Nel 2008 ha visitato il sito per tentare di incanalare parte di quella storia ed energia nella propria musica. Rimase colpito dalle rovine del Tempio di Giove, ora solo un altopiano di pietre, e si chiese se la struttura, un tempo enorme, potesse essere stata l’ispirazione per la biblica Torre di Babele. Il pensiero gli ronzava in testa mentre si appollaiava sulla cima della Pietra del Sud, il monolite lavorato più grande del mondo con le sue 1242 tonnellate, ed eseguiva il suo incantesimo sonoro.

Nel 2012 è tornato in Libano per ritrovare quella sensazione e registrare il momento. Nel tempo trascorso dalla sua prima visita, aveva scoperto che l’artista ungherese Csontváry Kosztka Tivadar era stato ispirato dallo stesso luogo antico – il suo dipinto del 1907 “Pietra sacrificale” adorna la copertina dell’album, ‘Non potrei visualizzare meglio la mia musica di Csontváry su questo bellissimo dipinto’, spiega nel comunicato stampa del disco.

“Sacrificial Stone” è una rivisitazione soprannaturale e brillante delle rovine di Baalbek situate da qualche parte tra fantasia e realtà; il nostro tenta di sfruttare gli stessi toni visivi, respiranti e oscillanti e piega la propria voce in forme che cavalcano il discorso, il ringhio animalesco e il canto. I suoi due trattamenti laterali sono rivelatori: il vocalist ungherese ha sviluppato lo stile dalla metà degli anni ’80 e in questa fase ha creato una tecnica vocale che si regge praticamente da sola, nonostante l’evidente influenza di vari stili di canto indigeni, metodologie sacre e avant -pratiche di guardia.

C’è poca traccia del suo lavoro in band metal in mostra qui, ma il potere schiacciante del genere abita ancora i bordi esterni delle sue composizioni. La voce schiumeggia e oscilla contro i droni in loop e i sonagli Sunn O))) – adiacenti, ma non è strettamente musica di droni, è il lontano riverbero dell’antica poesia devozionale greca, dei rituali pagani romani, dei primi canti semplici e dei canti bizantini, della musica sufi e delle forme buddiste. Che ti piaccia la musica sacra, il drone pronto per il subwoofer o gli esperimenti vocali acrobatici di Mike Patton, è un ascolto profondamente avvincente!!!


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