DAMON ALBARN – ‘The Nearer The Fountain, More Pure The Stream Flows’ cover album“The Nearer The Fountain, More Pure The Stream Flows” era stato inizialmente pensato come un lavoro orchestrale ispirato ai paesaggi islandesi. Lo scorso anno durante il lockdown Albarn si è riavvicinato alla musica, dando vita a 11 tracce che esplorano tematiche come la fragilità, la perdita, la nascita e la rinascita. Il risultato è una raccolta di brani in cui Damon si presenta come uno storyteller. L’album prende il titolo da “Love and Memory”, poesia di John Clare.

In una carriera già dedita alla continua esplorazione, con questo nuovo lavoro l’artista inglese si spinge ulteriormente oltre: arrangiamenti orchestrali si intrecciano a melodie intime in una discordanza che sfiora la maestosità, e il tutto viene accompagnato da alcune delle sue performance vocali più straordinarie di sempre. Proprio come la bellezza e il caos del mondo naturale a cui fa da colonna sonora, “The Nearer The Fountain, More Pure The Stream Flows” documenta lucidamente il flusso emotivo della condizione umana in tutti i suoi estremi.

Albarn non è mai stato uno che segue le regole, né ha la tendenza a gettare un’occhiata al passato. Ora torna, indossando ancora una volta un mantello di una tonalità diversa, con un album che è tanto distante dal suo ultimo progetto, il disco dei Gorillaz del 2020, “Song Machine”, quanto Los Angeles lo è a Reykjavik. Ci siamo abituati a pensare al nostro come ad un acerrimo voyeur, l’osservatore che documenta e pubblica tutto ciò che vede. Tuttavia, questo ineguagliabile racconto musicale, questa volta ha preso un corso diverso. Ha trovato una musa differente, invece di appoggiarsi alla vita reale, ha trovato ispirazione lirica da un libro di poesie di John Clare che gli è stato regalato da sua madre. Clare, descritto da William Howard come la quintessenza del poeta romantico, ha scritto la prosa più magnifica; linee tragiche dell’amore e della perdita, del lutto e della presunta immortalità della giovinezza. Ha scritto del mondo naturale e della meraviglia dei paesaggi rurali che erano visivamente sorprendenti come i ghiacciai su cui Albarn si affaccia dalle finestre della sua casa islandese. Questo ci porta all’altra musa ispiratrice nella creazione di questo lavoro. ”The Nearer The Fountain, More Pure The Stream Flows”, come accennato sopra, è stato originariamente concepito come un omaggio orchestrale all’Islanda. Queste cose si fondono insieme per formare una raccolta di canzoni meravigliosamente atmosferiche, malinconiche, che hanno una qualità eterea simile a un sogno. Avvolgono l’ascoltatore in un mantello di seta e lo trasportano nei paesaggi vulcanici dell’Islanda, lasciandoli con le parole ispirate da Clare per conforto.

Tuttavia, questo non è un album freddo. Piuttosto, ha un cuore ricco e caldo che deriva principalmente dagli strumenti utilizzati. Basta i campioni e le drum machine glitch, al loro posto una gamma più organica e più analogica. Ci sono ottoni accoglienti, archi verdeggianti e i ricchi timbri di una pletora di organi, incluso un Elka Space Organ. Questa straordinaria tastiera conferisce un’atmosfera inquietante e ultraterrena a gran parte di questo LP, in particolare nella title track e nella sontuosa ballata, “Daft Wader”. Damon ha accennato alla sua apatia nei confronti della tecnologia moderna su “Everyday Robots”. Ora va oltre ed esegue le sue canzoni sulle tastiere di un’epoca passata, portando di conseguenza un senso di nostalgia a gran parte di questo disco. Da nessuna parte questo è più marcato che su quelle tracce che presentano l’iconico Wurlitzer. Il miglior esempio è “Polaris”, che ha un ritmo casuale senza pretese, di quelli che potresti associare a una di quelle tastiere domestiche che ogni famiglia sembrava possedere negli anni ’80. La pura nostalgia trasuda anche da ogni nota della brillante “Darkness To Light”, che ricorda una ‘Torch Song’ degli anni Cinquanta mentre si snoda lentamente ai margini della sala da ballo alla fine della serata. Quel Wurlitzer, quel tragico colosso del mondo delle tastiere, fa sembrare tutto come la fine del molo alla fine dei giorni. La fine dell’estate. La fine di tutte le estati. Tanta nostalgia, eppure è una testimonianza del genio del nostro che in qualche modo riesce a farcela senza mai sembrare kitsch o sdolcinato.

Trovo sempre che i progetti di Damon Albarn crescano con il tempo. Raramente saltano dagli altoparlanti e ti afferrano e anche in questa occasione non è diverso. Non è sorprendente, data la natura riflessiva e malinconica di questa opera. Ma quando inevitabilmente arriverà l’impatto – e lo farà – lo sentirai. È una masterclass in songwriting. È contraddittorio nel senso che è retrò ma futuristico; glaciale ma caldo; maestoso e grandioso ma allo stesso tempo casalingo. Non cambiare, Damon. Continua a cambiare!!!


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