OLD TIME RELIJUN – ‘Musicking’ cover albumA due anni dal mini “See Now And Know” (2019) arriva il decimo album degli Old Time Relijun, “Musicking” – gioco di parole tra i termini inglesi ‘music’ e ‘sick’, ovvero ‘malato’ – il primo lavoro della band di Arrington De Dionyso da “Catharsis In Crisis” (2007).

Anticipato da una manciata di brani lo-fi che, al solito, comprendono una forbice piuttosto allargata di riferimenti e fascinazioni – tra sfasature now wave e jazz stralunato, blues sghembo e (naturalmente) beefhartiano e post-modernismi à la Waits, sax starnazzanti e vocalità creative (“Break Through”, “Bionic Trunk”, “The Foundation Is Cracked”, “The Lung Song” e “We Start The Fire”) – il disco ha visto la luce il 5 novembre sull’immarcescibile K Records di Calvin Johnson riportando le coordinate della band esattamente nel punto in cui questa aveva lasciato, con immutata, eccentrica, creatività.

Gli Old Time Relijun sono nati il ​​primo gennaio 1995 in un seminterrato buio e ammuffito ad Olympia, nello stato di Washington. La band ha rubato alcune buste di popcorn, ha convinto un amico a liberarsi della sua eredità e ha pubblicato “Songbook Vol. I” nel 1997. Hanno quindi iniziato la loro lunga collaborazione con la K Records di Calvin Johnson.

I ragazzi di Washington conducono spettacoli sudati e compulsivamente ballabili che non mancano mai di infiammare. Le loro canzoni sono semplici, ma nessuno al mondo potrebbe imitarle. I loro album sono pieni di successi da cantare insieme a esperimenti sonori e battute cosmiche. La perduta spavalderia smentisce anni di pratica, arrangiamenti esigenti e una comprensione a livello viscerale del come e del perché musicale.

Il loro ultimo disco, “Musicking” si avventa ferocemente con l’inno sciamanico di protesta “Break Through”. La voce di Arrington De Dionyso ha guadagnato un po’ di grinta e ancora più peso ed importanza. Come un oratore sovraccarico, rimbomba le parole nella stratosfera. ‘Sfondare la malvagità, rompere le menzogne, rompere il vetro; non ostacolarmi!’ La band raggiunge il ritmo e l’atmosfera si muove rapidamente attraverso le 11 canzoni, come l’alcol nel cervello. Non si ferma, non si ferma, non ti lascia dormire.

Fin dalla prima nota, è stato come essere colpiti da un blocco di cemento (in un modo abbastanza buono). “Bionic Trunk” fornisce tamburi fragorosi che potrebbero essere paragonati a successi garage-rock della metà degli anni ’60 come The Monks e introduce un po’ di canto di gola, di tutte le cose.

La pietra angolare dell’album, per i miei gusti, è la traccia finale, “You That Is You”. C’è una sensazione di altissima intensità in questa canzone, che mi ricorda l’art-punk al suo meglio, ma rilevante nel 2021. Suppongo che chiamarlo “rock sciamanico di protesta” sia assolutamente appropriato per questo lavoro!!!


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